Non appena mi cadde l’occhio sulle ragazze che attraversavano il parco, la mia attenzione restò fissa su di loro. Quella dai capelli neri con el sue accompagnatrici, la loro risata un rimprovero alla mia solitudine. Stavo aspettando che succedesse qualcosa, senza sapere cosa.
Evie Boyd ora è una donna di mezza età che alloggia nella casa di vacanza di un amico. Ma nel 1969, quando ancora aveva 14 anni, si ritrova coinvolta in una setta guidata dal carismatico e imprevedibile Russell. La maggior parte dei componenti sono ragazze poco più grandi di Evie, alcune già madri, che vivono in una catapecchia e rubano per sopravvivere; Evie è una ragazza dell’alta borghesia che non si trova a suo agio con i genitori e se stessa. E iniziando a frequentare il giro di Russell le sembra di appartenere finalmente ad un posto, e trovare qualcuno che la capisca davvero. Ma la “famiglia” allargata non ha nessun limite, e l’ego di Russell non conosce freni, e la vendetta lo porta ad azioni terribili.
Sapevo quanto era facile che succedesse, di ritrovarsi il passato a portata di mano, l’inevitabile scivolone cognitivo di un’illusione ottica. Il tono di una giornata legato a qualche oggetto particolare: il foulard di chiffon di mia madre, l’umidità di una zucca tagliata. Certi giochi di ombre. Perfino un raggio di sole riflesso sul cofano di una macchina bianca poteva causarmi un momentaneo brivido, aprendo un esile spazio di reminiscenza. Su Internet avevo visto dei vecchi rossetti Yardley – lo stick ormai ridotto a un impasto ceroso sbriciolato – in vendita per quasi cento dollari. In modo che le donne di una certa età potessero sentirlo di nuovo, quell’odore chimico di fiori. Ecco quanto ci tenevano le persone, a sapere che la loro vita era accaduta davvero, che ciò che erano state un tempo esisteva ancora da qualche parte dentro di loro.
Erano talmente tante le cose che mi facevano tornare indietro. Il sapore pungente della soia, il fumo sui capelli di qualcuno, l’erba delle colline che imbiondiva a giugno. Una certa disposizione di querce e rocce poteva, intravista con la coda dell’occhio, aprirmi una crepa nel petto, farmi sudare improvvisamente le mani di adrenalina.
E’ stato salutato come una rivelazione, il best seller per eccellenza; e devo ammetterlo, è un libro che si legge tutto d’un fiato. Io ci ho messo meno di una giornata a finirlo. Ma, da qui a gridare al capolavoro ne passa. E’ scritto bene, fluido, interessante. Ma la storia è una ripresa, quasi maniacale, della setta satanica di Charles Manson e della sua “Famiglia” (come si definivano i suoi amici/adepti). Sembra anche una ripresa della serie tv Aquarius. Non è un brutto libro, certo. Anzi, appassiona e coinvolge completamente. Però resta il fatto che sembra di leggere un libro inchiesta, e allora non c’è nulla di meglio dello stile di Helter Skelter, libro cult di Vincet Bugliosi sui tristemente celebri fatti di cronaca che accompagnarono l’arresto di Charles Manson e dei suoi seguaci. E’- o almeno dovrebbe essere – un romanzo. Ma, nei fatti, la parte “inventata” è talmente piccola e insignificante che scompare. Anche la protagonista, Evie Boyd, è ispirata a una ragazza realmente esistita, Linda Kasabian, che di fatto diventerà la principale testimone d’accusa nel processo contro Manson; così come è facile vedere – sotto il nome di Suzanne – Susanne Atkins, una delle groupie di Manson. Dietro Mitch, musicista impelagato con Manson, si nasconde Dennis Wilson, dei Beach Boys. E’ come riscrivere la storia, cambiando semplicemente i nomi, ma non i fatti. L’unica grande differenza è che tra le persone uccise non figurava alcun bambino, dato che Sharon Tate, moglie di Polansky, all’epoca era incinta.
Il fatto che impressiona di più è la giovane età di tutti i coinvolti nella storia: la maggior parte delle ragazze, nel libro come nella realtà, aveva 20 anni o poco meno. Ragazzine, spesso con una storia turbolenta alle spalle, e famiglie travagliate. Perché la Cline cerca di farci vedere queste ragazze. Far conoscere chi si celava dietro ai “mostri”, dietro alle assassine; e il ritratto spietato e senza veli che ne risulta è quello di persone misere e infelici, che si aggrappano a qualsiasi forma di amore.
Russell ne esce distrutto; più in generale le figure maschili ne escono deboli, senza coraggio né forza: a partire dal padre di Evie, che non ha nessuna presa sulla figlia o sulla giovane compagna; e poi Mitch, il chitarrista ricco ma povero di spirito; e soprattutto lui, Russell, alter ego di Charles Manson, che ne esce come un vero perdente, incapace di accettare la propria mediocrità e la propria inettitudine.
E’ il legame che Evie crea con Suzanne, molto più che con Russell, che la spinge a ritornare sempre allo squallido ranch dove vive la Famiglia, in condizioni igieniche precarie e circondata da droga e nessuna prospettiva di un futuro diverso. Non è Russell, da tutti descritto come il vero perno e centro della famiglia, ma Suzanne il vero amore di Evie. Un amore da cui cerca rassicurazione, che a volte sembra sconfinare nel materno, a volte nella semplice comprensione che scorre tra le due. Perché – alla fine, quando le cose volgeranno al peggio – sarà Suzanne a salvare la piccola Evie.
Per chi volesse conoscere qualcosa di più sull’autrice, oltre al suo sito, qui c’è un’intervista molto breve, in cui affronta alcune delle domande o delle curiosità sul libro:
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