La cena di Herman Koch

316libro_img_dettDue coppie di genitori si ritrovano a cena per discutere del destino dei propri figli, che hanno commesso un crimine orrendo.

«Ma noi dobbiamo parlare di un’altra cosa, Paul» ha aggiunto.

Ho sentito quella cosa fredda e dura, che avevo dentro di me dall’inizio della serata, diventare ancora più fredda e dura.

«Dobbiamo parlare dei nostri figli» ha detto Serge Lohman.

Il romanzo è raccontato da Paul, che a tratti – saltando nel tempo – spiega il perché della cena. A fare da contraltare al crudele omicidio dei due ragazzi – e alla violenza che ha segnato la vita di Paul – c’è la descrizione puntigliosa e volutamente rallentata di ogni piatto che il maître serve ai suoi clienti accomodati al tavolo di un ristorante lussuoso. Sì, perché le famiglie di Paul e del fratello Serge sono benestanti, di più, alto-borghesi. E una disgrazia di questo livello sembra capace di distruggere ogni cosa che hanno, ogni stabilità e futuro sociale che hanno guadagnato. Paul ha una carriera finita, a causa di un problema con la rabbia che può – forse – aver trasmesso al figlio; Serge invece è un candidato per le prossime elezioni: potrebbe essere il nuovo primo ministro olandese.

Nessun innocenza, nessun perdono. Vittime che – sentite inferiori – vengono lasciate morire o uccise con una freddezza impressionante. Paul è narratore, ma è unreliable, come dicono gli inglesi. Non è affidabile, racconti morsi e pezzetti di storia e nasconde sempre qualcosa, su di sé, su quanto sa, su quanto sia effettivamente responsabile.

Leggere questo romanzo è come ricevere un pugno nello stomaco. Forte, potente, inaspettato. La trama non rende neanche un millesimo di quanto sconvolga profondamente il libro. Sono rimasta scioccata e nauseata. Perché qui non si tratta di genitori che decidono di discutere il destino dei propri figli: qui si tratta di genitori che cercano in tutti i modi e oltre ad ogni logica di difendere dei criminali, senza guardarsi indietro. Sì, perché alla fine quello che lascia l’amaro in bocca non è l’azione spietata e di una violenza gratuita che i ragazzi hanno perpetrato, ma l’indifferenza e l’egoismo dei genitori, decisi a proteggerli e a difenderli ad ogni costo.

L’indifferenza per i morti sconvolge più di ogni altra cosa.

Lo stile e l’assenza dello scrittore, che non interviene né strizza l’occhio ai lettori con morali raffinate o punti di vista, rende il romanzo ancora più crudo. E la domanda che più assilla è: cosa faremmo noi al posto di quei genitori?

La storia, che prosegue a balzi, viene scandita dalle portate – lente, paradossalmente ridotte e costose – che punteggiano l’orrore. Sì, perché l’ambiente lussuoso che circonda le due coppie rende solo più surreale e inquietante l’omicidio dei due ragazzi, e tutto l’orrore che viene raccontato. Sembra fuori posto, sbagliato.

Il finale è ancora più sconvolgente, sconcertante, crudele come il protagonista – insieme al figlio e alla moglie – ha dimostrato di essere.

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