In una fredda sera di dicembre, Ishibashi Yoshino saluta le amiche per andare a incontrare il suo ragazzo in un parco di Hakata, nella città di Fukuoka. Il mattino successivo, il cadavere della giovane viene rinvenuto nei pressi del valico di Mitsuse, un luogo impervio e inquietante: è stata strangolata. Chi ha ucciso Yoshino? Chi è l’uomo che doveva incontrare al parco? Perché la cronologia delle chiamate e dei messaggi del suo telefono cellulare racconta una storia diversa da quella che conoscono gli amici e i familiari? La morte violenta di una giovane innesca un intreccio di narrazioni accomunate dal senso di solitudine, dalla difficoltà di vivere in una società sempre più complessa, dalla desolazione dei paesaggi urbani, dall’incapacità di amare.
Il “giallo” è scorrevole. Metto giallo tra virgolette perché di fatto la parte del delitto non è che un pretesto, un mero punto di partenza per parlare della società giapponese contemporanea e dell’estraneazione che può creare nelle persone. Perché di fatto l’omicida non è così misterioso, lo si intuisce – e poi viene esplicitamente annunciato – prima della metà del romanzo. Quello che Shūichi tenta di mostrare quindi, più che la risoluzione del crimine, è il risultato di quel crimine sui soggetti che, in varia misura, vi sono coinvolti. Dai genitori affranti di Yoshino, che non sapevano nulla di quella figlia che viveva in città, e che bazzicava per siti di incontri e sesso occasionale; alla famiglia di Yūichi, il ragazzo col quale Yoshino si frequentava saltuariamente, e che diventa ben presto un sospettato nelle indagini fino a Keigo, un rampollo altolocato che in qualche modo sembra coinvolto nell’ultima serata di Yoshino. Una serie di personaggi che tentano di sopravvivere alla bufera causata dalla morte della ragazza. E che si trovano costretti a confrontarsi con rigide regole e imposizioni sociali, che in qualche modo li inquadrano, una posizione che sta stretta. L’isolamento di tutti i personaggi, che si autoimpongono il silenzio e il rifiuto del contatto con l’altro, si amplifica quando due personaggi scoprono una vera, profonda connessione. Ma ormai è troppo tardi, e la fuga dalla realtà per cercare una quiete e una pace solitaria è impossibile.
Devo essere onesta: se siete alla ricerca di un romanzo che vi fa fremere per l’impazienza di scoprire il killer, allora questo non fa per voi. È un’analisi anche interessante della società giapponese, e delle sue strette e rigide norme sociali (non scritte, ma comunque vivissime), ma non riesce interamente nel tentativo di metterci di fronte a dei personaggi di cui, in ultima analisi, dovrebbe importarci qualcosa.
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