Sottotitolo: accozzaglia di libri letti nell’ultimo periodo (dove “ultimo” ha un significato temporale relativo che spazia dall’inizio dell’anno scorso fino a ieri). Sono tutti romanzi che non mi sono piaciuti, ma sono più tignosa del solito, quindi va tutto preso con le pinze.
Il profilo dell’altra di Irene Graziosi (e/o 2022, 235 pagine)

Grossissimo MAH, probabilmente dettato dalla mia età avanzata. La venticinquenne protagonista, Maia, è in stallo: ha un lavoretto in un bar, mentre la sua relazione con Filippo, professore di Filosofia, arranca sui binari della noia. Per caso diventa dipendente di Gloria, una giovanissima influencer…e bon, in teoria la relazione che ne sgorga dovrebbe cambiare entrambe, ma questo cambiamento è davvero davvero difficile da scorgere.
Mi ha anche stupito questo titolo nel catalogo dell’editore, perché mi sembra un po’ scollegato rispetto al resto delle pubblicazioni, ma forse è una mia impressione.
L’unico motivo per cui l’ho letto è che pensavo ci fosse sotto una storia gaya, invece pure lì sono rimasta delusa (probabilmente sto sviluppando un fetish per la letteratura LGBTQ+, ma va bene così).
Sarà che io di social capisco pochissimo – e infatti mi trovo a scrivere su un BLOG nel 2023, 15 anni di ritardo rispetto a tutto il resto del mondo – sarà che questo disagio giovanile l’ho provato e continuo a provarlo anche io, ma non in questo modo, sarà che mi aspettavo una cosa completamente diversa, ma il romanzo non ha ingranato.
Per me non ha funzionato perchè mi è mancato uno sviluppo; e questa mancanza la perdono solo a romanzi scritti in maniera eccezionale, e non mi è sembrato questo il caso.
Sono kattiva, e il karma giustamente infierisce su di me con una certa perfidia.
Annabella Abbondante. L’essenziale è invisibile agli occhi di Barbara Perna (Giunti 2022, 372 pagine)

Secondo romanzo incentrato sulla giudice Annabella Abbondante.
Avevo un ricordo positivo e piacevole del primo romanzo, e invece questo è stato una mezza delusione.
La protagonista dovrebbe starci simpa perché è, come il suo cognome, abbondante (di taglia, di tette, di personalità)…peccato che poi scopriamo che la taglia abbondante è la 48.
AAAAAAAAAAAARGH!!!! Quanto odio.
Ho davvero storto il naso quando l’indagine per l’omicidio della barista diventa un mero pretesto per far nascere una storia d’amore. Capita pure nelle serie tv, gente che flirta con cadaveri freschi nelle vicinanze; ma in questo romanzo mi ha fatto particolarmente senso perché la vittima era una conoscente della protagonista. Quindi non basta far dire alla tipa, ogni tanto, “Ci tenevo davvero”, se il momento dopo passa spudoratamente a flirtare con un uomo. È di cattivo gusto.
Altro difettuccio, che a me irrita perché sono disagiata, la rappresentazione della coppia gaya.
Nicola e Gabriele sono due poliziotti (o carabinieri, sa la cippa, qualcosa con la divisa). Gabriele sta indagando sotto copertura ma, invece di parlarne al compagno, preferisce nascondersi a casa dell’Abbondante per tutto il tempo dell’operazione, altrimenti Nicola si preoccuperebbe. E infatti Nicola nei primi capitoli segue Gabriele, perché ha la sensazione che gli stia mentendo.
Ora. Una relazione tossica può esistere anche tra coppie gaye. E questa è una relazione nel migliore dei casi disfunzionale, nel peggiore tossica, perché Nicola stalkera Gabriele. E Gabriele lo sa, infatti si rifugia da Annabella perché ha paura che il compagno, pedinandolo, faccia saltare l’intera operazione.
NO. NO. NO.
Nascondere la tua attività al tuo compagno, per “proteggerlo”, non è sinonimo di una relazione sana. Non riuscire a parlare con il compagno della propria attività lavorativa, della necessità di propri spazi, è un campanellino d’allarme.
Senza contare la rappresentazione stereotipata di Gabriele, un modello fighissimo, corpo scolpito, occhi verdi e penetranti.
Amic*: questa versione degli uomini gay figherrimi non aiuta i poveri comuni mortali che non sono dei modelli.
E lo so perché noi donne abbiamo SEMPRE standard semi impossibili da raggiungere. Quindi, smettiamola, please.
L’indagine va avanti a favoritismi e border-line clientelismi, spesso infarinati da scambi sessuali che…no.
Non so perché mi abbia dato così tanto fastidio, si tratta di piccolezze, non di chissà che drammi. Eppure sono uscita inferocita dalla lettura (chiaramente la mia soglia di sopportazione del genere umanoide è inversamente proporzionale a quella della mia età e sta scemando a velocità allarmante).
La vendetta degli dei di Hannah Lynn (Newton Compton 2021, 317 pagine)

Questo romanzo racconta la storia di Clitemnestra: moglie di Agamennone, quando il marito torna dalla guerra di Troia con la veggente Cassandra pensa bene di accoppare entrambi. Poi il figlio Oreste accoppa lei, e il cerchio della famiglia felice si chiude.
Il retelling vende un botto.
Purtroppo, chi si cimenta in questa nobile arte non lo sa fare.
O meglio, non crea un retelling, ma presenta un Harmony sviluppato nell’antichità.
Tendenzialmente sono retelling femministi (non dico di marciare e sottoporsi a scioperi della fame, ma almeno una lezione di cosa sia il femminismo io lo metteri come corso obbligatorio a tutt* le autrici e le persone che sparano queste definzioni).
L’errore è comune, in realtà, a tutta la narrativa storica: d’altronde è difficilino provare empatia e sincronizzarsi con un personaggio che amava cercare ragazzine minorenni per sesso, non può certo diventare il tuo eroe, quindi se vuoi raccontare la storia, un pochetto tocca abbellirla: togliere qua e là, aggiungere qualcosa, completamente cancellarne altre.
[Che poi è la storia di Casanova. Nel romanzo in cui è protagonista di Matteo Strukul, ovviamente non si cita mai questo suo aspetto; io l’ho scoperto per caso mentre mi documentavo sulle cortigiane di Versailles].
Ecco, questo romanzo è un’accozzaglia di roba senza capo nè coda, in cui l’eroina, Clitemnestra, dovrebbe essere un personaggio forte e anticonformista, ma risulta solo patetica e disagiata: a parte attribuire una morale contemporanea ad un personaggio vissuto secoli fa – che è sbagliato, autor*, lo volete capire? – Clitemnestra dovrebbe essere il punto di riferimento. Clitemnestra che, nel mito, è colei che tradisce il marito, lo uccide con l’amante e si impossessa del trono. Insomma, non un grande CV.
Purtroppo la Clitemnestra che ci appare è un personaggio fastidiosissimo: appena incontra il nuovo tipo si fionda da lui, tralasciando figli e tutto il resto; con la figlia Elettra ha un rapporto a dir poco burrascoso, ma devo per forza stare dalla parte di Elettra: quale madre farebbe ubriacare la figlia, facendole fare una figuraccia davanti ad un mucchio di ospiti, solo per insegnarle una lezione?
Clitemnestra si trasforma ben presto in un’abile manipolatrice, che convince l’amante ad uccidere il marito; quando lui si dimostra titubante, lo fa da sola.
C’è anche una scena inutile e spiacevolissima di lei che fa del sesso orale ad Agamennone davanti a degli schiavi: la scena dovrebbe mostrare la rozzezza di lui, ma mostra solo un’autrice pacchiana e incapace di descrivere un marito violento senza passare da scene di sesso che NON VANNO BENE.
Ma si passa poi al figlio, Oreste, buono per natura, costretto dagli dei a vendicare il padre, uccidendo madre, fratellastro e patrigno.
Lo fa, ma controvoglia, ed è pieno di rimorsi, quindi i suoi omicidi vengono condonati, a differenza di quelli della madre.
Capito la discrepanza? Clitemnestra uccide perché pensa a se stessa (ah no, per i figli, certo), Oreste uccide solo perché costretto dagli dei. Così uno dei due è colpevole delle proprie azioni, l’altro invece no.
Maschilismo: +1.
Il retelling non funziona quasi mai, quindi il mio personalissimo consiglio è: se volete descrivere in maniera diversa un mito, fatelo per bene! Se siete brav* a scrivere, può andar bene cambiare il punto vista; se non siete brav*, inventatevi cose nuove! Per quanto la Penelope della Atwood non sia perfetta, e il romanzo mi abbia lasciato parzialmente insoddisfatta, lei sì che cambia qualcosa: lei de-mitizza l’Odissea e tutto il viaggio, relegandolo a una carrellata di spacconerie maschili.
Stando in tema mitologico, stesso discorso va fatto per Arianna di Jennifer Saint (Sonzogno 2022, 368 pagine).

Il lavoro di retelling non mi sembrava particolarmente impegnativo, in questo caso, perché Teseo esce maluccio già dal racconto mitologico.
Nella mitologia infatti Arianna aiuta Teseo in cambio della promessa di portarla ad Atene, insieme alla sorella Fedra, una volta ucciso il Minotauro.
Teseo non solo non si carica Fedra sulla nave, ma abbandona Arianna dormiente sull’isola di Nasso, risparmiandosi persino la scusa del “Vado a comprare le sigarette e torno subito”.
Arianna si ritrova su un’isoletta sperduta, da sola. Ovviamente l’isola non è un buco roccioso dove sarebbe impossibile coltivare manco la zizzania, ma un rigoglioso paradiso terrestre.
Tempo mezza giornata (non è davvero così, ma passa pochissimo), ecco giungere Dioniso, che salva la bella Arianna.
Quindi Arianna non ha fatto nulla da sola. Non ha imparato a cavarsela, non si è furbizzata, non ha capito come sopravvivere per conto suo.
Poi si scopre che Fedra ha sposato Teseo, e ci tocca seguire una storia che non sta in piedi su questa donna che perseguita il figliastro Ippolito – perseguita, perché lei si è presa bene con lui, ma non viene spiegato come mai.
Anche le donne possono essere stalker, ma, statisticamente, sono gli uomini a perseguitare le persone con cui si sono fissati senza lasciar loro tregua.
Fedra personaggio scritto PEGGIO di tutta il romanzo, e ce ne vuole.
Amic* scrittor*, non basta creare degli uomini spregevoli per far apparire magicamente giuste e sagge le vostre eroine.
Vuoi fare un romanzo su Arianna? Benissimo! Allora:
- scrivi solo di Arianna e lascia stare quella poveretta di Fedra;
- l’evoluzione del personaggio non deve essere necessariamente legata alle sfighe che le capitano;
- il personaggio non deve uscirne MIGLIORE di tutti gli altri, ma diversa e più consapevole del mondo che la circonda;
- consiglio ancora migliore: scrivi il racconto dalla parte del kattivo, Teseo, così il femminismo che ti è tanto chiaro può emergere con più forza. Sono i maschi a raccontare il mito e ad esserne protagonisti, fai in modo che sia un uomo a raccontare la storia, una storia da cui traspaia il maschilismo, senza dover ricorrere a frasette convenzionali che nessun* direbbe sulla falsariga di “Eh, noi donne qui in Grecia non valiamo niente”. Mostramelo, autor*, non limitarti a dirmelo.
Epic fail (ahahaha, epic, come in “epica”, capito? Ok, la smetto).
Bandito di Selma Lagerlof (Iperborea 2022, 314 pagine)

Questo romanzo è stato originariamente pubblicato in lingua originale nel 1918. E l’età si sente tutta. La storia procede a super-rilento, ma forse sono i cent’anni che intercorrono tra la lettura e la pubblicazione, in cui i gusti dei lettori sono cambiati.
Sven Elversson era stato dato in adozione a dei ricchi aristocratici inglesi quand’era ancora bambino.
Ora, vent’anni dopo, ritorna in Svezia, circondato da un’aurea negativa: si vocifera che, durante una spedizione al Polo Nord finita male, lui e altri marinai si siano cibati dei compagni morti per sopravvivere.
Ovviamente il cannibalismo non è guardato benissimo dalla piccola comunità, e quando il pastore aggiorna i fedeli delle dicerie su Sven, non si srotolano tappeti rossi, nonostante Sven sia un sant’uomo che si adopera per migliorare le condizioni di chiunque.
Eppure viene osteggiato.
Nella seconda parte invece il focus si sposta sulla nuova moglie del pastore, Sigrun, e il suo rapporto conflittuale con il trasferimento e il marito.
Sigrun e Sven si incontrano e c’è dell’amore, ma sullo sfondo (molto, molto, molto sullo sfondo) riverberano le atrocità della Prima Guerra Mondiale.
Ecco, in soldoni questa è la trama.
Io ho fatto parecchia fatica a proseguire, ma, ultimamente, sto leggendo robina davvero leggerina, quindi dipende sicuramente da questo.
Il romanzo è stato definito pacifista, e sicuramente nel 1918 aveva una suo perchè: per me, lettrice di oggi, pare assurdo paragonare uno che mangia il braccio del compagno defunto, per sopravvivere, al male della guerra. Mentre invece è questo il parallelismo che scorre per tutto il romanzo, forse con una punta di sentimento LGBTQ ante-litteram, in cui cibarsi del corpo dei compagni è una fine metafora dell’amore gayo. O forse no, sono io che vedo riferimenti ovunque.
La copertina vince il premio di “Cover più bella dell’autunno”, a mani basse, perchè è spettacolare: dal vivo i colori sono molto più accesi e brillanti, e pare di assistere ad un tramonto nelle acque fredde dei paesi nordici.
Io ho letto il primo di Annabella Abbondante. L’ho valutato positivamente perché era il primo dell’autrice, ma non sono interessata al secondo perché ho intuito dove sarebbe andato a parare. Già il primo avrebbe dovuto essere limato un po’. O.T. Bisogna vedere su quale altezza si “spalma” una 48.
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Bene, di due retelling che hai elencato mi hai già fatto capire che forse è meglio se li evito dato che già La Canzone di Achille mi ha dato fastidio per la modernizzazione forzata del mito. Però quello della Atwood nella recensione collegata sembra interessante. Non so… Comunque so già che almeno posso contare su Christa Wolf per leggere dei retelling qualitativamente migliori di quei due che hai elencato…
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Ahahaha e io persevero, perchè ho già in mente di leggerne altri!!! Invece sono molto curiosa di scoprire Christa Wolf, merita???
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Non lo so, ma penso di sì. Forse è leggermente più accurata di queste autrici che lo fanno solo per seguire la moda e non hanno nulla di femminista 🙃
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Ohhh che sollievo, allora non sono l’unica a non aver digerito la pompatissima opera prima dalla Graziosi! Combinazione ne ho scritto proprio oggi: una fatica improba a finirla, mi è sembrata una storia senza né capo né coda ma in compenso piena di pretese. Grazie anche per gli alert sui retelling, da cui mi terrò senz’altro alla larga. Con la Graziosi ho già dato 🙂
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