Editore: Marcos Y Marcos
Anno di pubblicazione: 2018
Pagine: 253
No, Ernie, dice Agata, nessuno trama niente, siamo solo donne che parlano.

Questo libro l’ho adorato. E lo avevo aspettato per taaaanto. Lo avevo ordinato in biblioteca a gennaio, poi tra una cosa e l’altra ho potuto leggerlo solo recentemente e NON sono rimasta delusa!!! Attenzione attenzione. Un libro su cui avevo aspettative a dir poco titaniche non mi ha delusa.
La trama è apparentemente semplice: un gruppo di donne di una comunità religiosa chiusa si ritrova per due giorni per decidere cosa fare dopo una rivelazione scioccante: alcuni uomini della loro comunità hanno abusato di loro ripetutamente nella notte, dopo averle sedate con sonniferi per cavalli.
Le donne hanno tutte età diverse e idee diverse, ma emergono 3 possibilità: non fare niente, restare e combattere o andarsene. Ma ciascuna di queste ipotesi porta con sé un carico di problematiche e difficoltà che paiono imponenti. Soprattutto perché nessuna di loro sa leggere e scrivere, e non sono mai uscite dalla loro comunità. Molte non parlano neanche inglese, ma solo un antico dialetto tedesco ormai in disuso, che viene parlato solo da sparute comunità religiose. Dato che le bambine vanno a scuola solo per pochi anni, spesso non viene loro insegnata la lingua del mondo esterno.
La storia è narrata da un uomo. Ma come, qualcuno potrà chiedersi? Una storia di violenza narrata da un uomo? Il narratore però non è un uomo qualunque: è una specie di paria, bandito dalla comunità anni prima, e tuttora disprezzato per la sua incapacità di lavorare la terra. Il motivo della sua cacciata emergerà solo sul finale, in una rivelazione sorprendentemente legata ai fatti recenti.
Quindi abbiamo una quindicina di donne abusate, di cui alcune rimaste incinta dalle violenze, spesso figlie, mogli o parenti dei loro stupratori. E poi abbiamo gli uomini. Loro non compaiono mai se non nella narrazione esterna (unica eccezione, il narratore, che viene però nettamente separato dagli altri).
Uomini che hanno deciso di fare fronte comune e indebitarsi pur di far uscire di prigione gli abusatori. Il capo villaggio, guida spirituale della comunità, ha colpevolizzato le donne, sminuendo la faccenda. La polizia è stata chiamata da Peters, il capo, solo per proteggere gli stupratori: Salomè, una delle donne stuprate, ha scoperto che anche la figlia Miep, di appena 3 anni, aveva subito lo stesso trattamento più volte, e aveva cercato di falciare gli uomini responsabili (falciare in senso letterale, con una falce).
Ecco, questa è una delle raccapriccianti storie che il romanzo presenta, senza soffermarvisi e senza scadere nel patetismo o nel sentimentalismo. Ma proprio la brevità agli accenni delle violenze le rende più profonde, più spietate, più assordanti.
Il titolo, simbolicamente, vuole dare una voce a queste donne che, per anni, hanno subito abusi senza parlare, nascondendosi dietro la vergogna instillata dalla religione, che ha permesso ha tanti uomini di continuare a commettere i crimini.
L’autrice, Miriam Toews, ha vissuto nella comunità mennonita, non condanna l’intero gruppo religioso, nè lo stile di vita (che, tra le righe, è co-responsabile degli abusi); riesce a creare una forte empatia con le protagoniste, accusando la cultura sessista della comunità (evidente soprattutto nella storia personale del narratore e del motivo per cui venne cacciato).
E infine, ciliegina sulla torta: il romanzo non è un’opera di fantasia. È ispirato ad un fatto di cronaca, risalente al 2009, accaduto ad una comunità mennonita boliviana. Qui 151 tra donne, ragazze e bambine, sono state stuprate da…beh dai loro stessi familiari, per lo più. Gli stupratori usavano un gas utilizzato per anestetizzare i tori, lo spruzzavano dalle finestre e poi violentavano ogni donna a disposizione. Donne che, a causa della loro educazione, spesso non sapevano o non capivano cosa fosse lo sperma o il sangue che ritrovavano tra le gambe, o il dolore nel basso addome. Altro episodio particolarmente brutale reale (presente nel romanzo) è la scelta del capo della comunità di rifiutare qualsiasi assistenza psicologica per le donne abusate con la scusante che “Perché avrebbero bisogno di consulenza se non erano neanche sveglie al momento degli stupri?”.
Lascio alcuni articoli per approfondire la vicenda:
- The rapes haunting a community that shuns the 21st Century – BBC News; e un podcast di mezz’ora sull’argomento: Crossing Continents – Bolivia’s Mennonites, Justice and Renewal – BBC Sounds (concentrata su un’altra comunità mennonita all’avanguardia, Hacienda Verde, sempre in Bolivia; dal minuto 10 si parla della serie di stupri su cui è basato il romanzo);
- ‘The work of the devil’: crime in a remote religious community | Religion | The Guardian;
- Un’intervista all’autrice: https://nationalpost.com/entertainment/books/how-miriam-toews-gave-a-voice-to-the-rape-victims-of-the-horrific-bolivian-mennonite-atrocity.